Silenzio su Vivian


Si parla tanto, troppo, di sicurezza. Si parla in continuazione della minaccia che i clandestini rappresenterebbero per le vite degli italiani – come sempre, brava gente.
Si parla di violenza sulle donne, si corre a bruciare il ghetto di turno quando la vittima è italiana e l’aguzzino è straniero.  
Quanto silenzio, però, su storie come questa.  

La vittima è una donna, una straniera, una clandestina, una prostituta. Tanti discorsi sul "degrado" a Zingonia, tante carriere politiche costruite sull’odio e la paura nei confronti di persone come Vivian, e nessuno che abbia mai speso una parola sulla sorte delle ragazze costrette a prostituirsi ogni sera sulla statale Francesca, per la gioia di tanti bravi padri di famiglia italiani.

Solo tirate bigotte sullo “spettacolo indecente” e cartelli improvvisati con scritto “basta puttane”.

Vediamo chi sarà il primo a ricominciare a parlare, ora.

Giovane prostituta incinta muore nell’auto in fiamme, i clienti fuggono
La Golf si è schiantata dopo essersi ribaltata più  volte. La 26enne della Sierra Leone è stata sbalzata fuori

MILANO – Una giovane prostituta della Sierra Leone, Vivian Alke, 26 anni, incinta di 4 mesi, è morta in un incidente stradale, sbalzata fuori dalla vettura sulla quale si trovava con due clienti, che sono scappati a piedi senza prestarle soccorso. È successo nella tarda serata di sabato lungo la strada provinciale Francesca, non lontano da Pontirolo (Bergamo). La dinamica dello schianto non è ancora chiara. La donna era stata vista dalle colleghe salire sull’auto, una Volkswagen Golf, con due uomini a bordo. Poco dopo lo schianto, nei pressi di un distributore di benzina. La vettura si sarebbe capottata più volte fino a sbattere contro un palo della luce. La prostituta sarebbe stata sbalzata fuori e i due uomini sono riusciti a scappare prima che l’auto prendesse fuoco.

I SOCCORSI – Quando i soccorritori sono arrivati, la giovane, in Italia senza permesso di soggiorno e senza una fissa dimora, respirava ancora ed è stata trasportata al Policlinico di Zingonia, ma a nulla sono serviti i tentativi di salvarla. Dalle indagini dei carabinieri finora è emerso che la vettura era stata rubata a Treviglio (Bergamo) il 9 settembre scorso. Gli inquirenti stanno dando ora la caccia agli occupanti della Golf.

 

 

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Gli avvoltoi


 


Nell’ultimo periodo l’attenzione mediatica verso Zingonia è aumentata notevolmente (come avevamo fatto notare qui e qui).
Gli abitanti dei palazzi Athena, con tutti i problemi di cui sono subissati, si sono dovuti anche sorbire visite di assessori e consiglieri regionali, in una sorta di safari volto ad esibire un improvviso interesse istituzionale per la situazione del quartiere.

L’ultraleghista presidente della provincia Pirovano ha annunciato la sua volontà di sostenere un progetto di riqualificazione dell’area, grazie a fondi “scovati tra le pieghe del bilancio” (sic!).
Ma di quale piano di riqualificazione si sta parlando? Forse del contratto di quartiere tra i comuni di Zingonia e la regione Lombardia, che tanto era piaciuto al governatorato lombardo da essere stato premiato con il massimo punteggio tra tutti gli altri contratti pervenuti?
In realtà, no. Il contratto di quartiere è stato giudicato "troppo complesso", in quanto avrebbe inciso non solo sugli immobili, ma anche sulla mobilità, tramite la riduzione della larghezza delle strade, la riqualificazione e il parziale spostamento dell’area industriale; inoltre prevedeva centri per l’integrazione, edificazione di alloggi popolari e accompagnamento all’affitto degli inquilini di immobili di cui fosse prevista la demolizione.
Non era un progetto privo di criticità, ma almeno in esso si scorgeva la consapevolezza di andare ad operare in un’area nata dal fallimento di un’immensa speculazione edilizia, abbandonata a se stessa da anni, proprio per via della complessità degli interventi necessari.
Troppo complesso. Dunque la regione Lombardia stralcia il contratto e inserisce Zingonia nei progetti FAS (Fondo Aree Sottosviluppate), snellendo gli obbiettivi: nessun intervento al di fuori della demolizione dei palazzi Athena di p.zza Aldo Moro (quella della fontana del missile), creazione di aree prevalentemente commerciali, con qualche spruzzata di aree residenziali; di edilizia popolare non se ne parla più: gli alloggi ad affitto calmierato vanno evitati perché "perpetuano il problema".
All’orizzonte si profila lo spettro di una nuova speculazione, con tanto bel cemento a far lievitare gli interessi dei soliti noti (facciamo il nome di Grossi, lo speculatore della Compagnia delle Opere, alias braccio economico di Comunione e Liberazione, giusto per ricordare come si muova la giunta regionale su questo piano).
Nessuno nomina più gli abitanti di Zingonia,  accumunati in una massa indistinta sotto l’etichetta di “problema”.
Quindi, nessuno si stupisca se verrà effettuato il taglio dell’acqua per morosità degli Athena 2-3 (l’1 dovrebbe salvarsi grazie al successo di una colletta tra gli inquilini), dove tra l’altro si vive senza riscaldamento da anni.
Basta, per capire la situazione, considerare che sulla maggior parte degli appartamenti pesano i debiti degli inquilini precedenti agli attuali.
Si va dal senegalese operaio in cassa integrazione che ha sempre pagato le bollette fino a quando gli hanno annunciato un debito pregresso abnorme legato al suo appartamento, al padre di famiglia marocchino che ha sempre pagato tutto, ma verrà comunque privato dell’acqua perché i suoi vicini non l’hanno fatto, al giovane pakistano appena arrivato, che non sa neanche cosa stia succedendo.
 
La cosa che lega tutte queste persone è che non avranno più acqua corrente in casa da martedì,


l’unica fonte idrica a cui possono approvvigionarsi è questa


 fontana zingonia


due tubi posizionati all’esterno del complesso Athena, a ridosso della carreggiata, per più di 60 appartamenti, sufficienti solo a garantire una facciata di legalità: con questa fontanella i palazzi sono dichiarati aventi accesso idrico, e dunque non si cade nell’inagibilità che avrebbe obbligato ad uno sgombero coatto.


A quando il prossimo articolo sul “degrado”, ornato da foto a colori delle famiglie di Zingonia che si lavano per strada?


 

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L’Eco di Bergamo scopre Zingonia: la paura delle ombre

 

Dopo anni di relativo silenzio, sembra che il principale quotidiano della provincia di Bergamo abbia deciso di occuparsi estesamente di Zingonia, dedicando a questa particolare zona della Bassa bergamasca fior di titoli ed editoriali.
Per una fortunata e, forse, non fortuita coincidenza, proprio in questi mesi la zona di Zingonia è al centro dell’interesse della Regione, della Provincia e di svariate società immobiliari per la realizzazione di un faraonico “contratto di quartiere” che dovrebbe cambiarne definitivamente i connotati, determinando, tra l’altro, la distruzione e la ricostruzione di svariati palazzi abitati soprattutto da migranti.
Vediamo quale prospettiva di osservazione ha deciso di adottare l’Eco di Bergamo, quotidiano di proprietà della Curia di Bergamo:

“Strade deserte- si ferma solo chi cerca droga”, è il titolo dell’articolo apparso domenica 11 ottobre.
“E’ davvero un quartiere strano Zingonia”, prosegue il testo, “Alle 16 di un mercoledì pomeriggio di inizio ottobre basta lasciare corso Europa e svoltare con l’auto in via Monaco, strada nota alle cronache degli ultimi anni per i numerosi arresti di spacciatori da parte delle forze dell’ordine, per entrare in un mondo diverso anni luce dagli altri paesi della Bassa”.
Nota alle cronache, sostiene il giornalista. È interessante come la stampa divenga unico riferimento di se stessa nel creare una descrizione intenzionalmente tesa a creare disagio nel lettore. Zingonia, hic sunt leones. Attenzione, lettori dell’Eco di Bergamo, non sapete cosa vi aspetta.

“Qui ci sono i fantomatici palazzoni Athena: tre torri color marsala ingrigito che, se da lontano sembrano solo palazzoni con troppe antenne paraboliche sui balconi, da vicino mostrano il peggio della loro realtà di degrado e abbandono”.
Eccoci davanti agli Athena. Senz’altro non abitazioni signorili con annesso giardino all’inglese: sono palazzoni scrostati e privi da anni di adeguata manutenzione, certo. Ma quanto “vicino” si è spinto il giornalista, in questa situazione di “degrado e abbandono”? Di certo non abbastanza da scambiare due parole con gli abitanti, chiedere perché vivono lì, magari intuire che gli affitti disumani e il controllo asfissiante dell’idoneità abitativa utilizzato come mezzo di allontanamento dai centri storici dei cittadini stranieri li obbligano a vivere in quel posto “color marsala ingrigito”.
Viene spontaneo poi chiedersi perché la antenne paraboliche sarebbero “troppe”. Rispetto a quale standard? Semplice criterio estetico, o volontà di suggerire che quelle antenne puntano verso i paesi d’origine di “troppi” stranieri?

“Tutt’intorno è un dispiegamento di sacchetti dell’immondizia colorati e rifiuti. Sui balconi c’è di tutto…”
A quanto pare il valente giornalista si è avvicinato abbastanza ai pericolosissimi Athena da poter osservarne i balconi, su cui c’è “di tutto”. Siamo davvero curiosi.

“…Mobili, elettrodomestici, fili penzoloni. Mentre una donna col velo si affaccia a una finestra del primo piano e osserva i due bambini che giocano sul balcone accanto, proprio nel prato sottostante tra ragazzi stanno giocando a palla”.
Dunque sui balconi ci sono mobili, donne (seppur velate) e bambini. Una visione terrorizzante. Zingonia è davvero un quartiere strano! Ma subito il giornalista prende per mano lo sprovveduto lettore e gli spiega di cosa deve avere paura:

“Fermarsi con l’auto, qui, vuol dire avere bisogno di droga. Anche alle 16 del pomeriggio. Anche se, proprio due minuti prima, di qui era passata la jeep con la pattuglia degli alpini”.
Ora, secondo le regole del buon giornalismo investigativo, servono le prove, che arrivano  puntuali:
“Fermarsi con l’auto a lato della strada in via Monaco non passa inosservato: i ragazzini che stanno giocando si interrompono bruscamente. Uno, sguardo vispo da furbetto (sic!), si avvicina alla recinzione e ci fissa: fa un cenno verso di noi, come per chiederci se ci serve qualcosa”.
Indicazioni stradali, per caso? Semplice curiosità? Certo che no, siamo a Zingonia, il ghetto della Bassa, in una zona “nota alle cronache”. Dunque, il ragazzino è di certo uno spacciatore:

“Basterebbe dire di sì per comprare probabilmente dell’haschisch”.
Qui il giornalista posa per un attimo la sfera di cristallo e impugna un cellulare, fingendo di telefonare:

“Il ragazzo – forse anche minorenne – torna a giocare. A questo punto non è difficile notare che la strada è completamente deserta. Mentre sull’altro lato del complesso residenziale c’erano decine di stranieri fuori dai vari locali, qui dietro, a soli pochi metri, non c’è nessuno. Non fossero le quattro del pomeriggio, ci sarebbe quasi da aver paura a stare qui”.
Qui davvero si sfiora il ridicolo, con il terrore declinato al condizionale e senza nemmeno l’ombra di una minaccia reale che possa giustificarlo. L’articolo descrive una strada di periferia, in pieno pomeriggio, con donne affacciate ai balconi e ragazzini che giocano a calcio. Eppure, dovremmo rabbrividire leggendo questa descrizione. Perché?

Eccola, la famigerata percezione di sicurezza che non c’è. È questa strana sensazione di non sentirsi per nulla al sicuro, di non potersi fermare al lato della strada senza essere scambiati per persone in cerca di droga. Ma basta mettere in moto, tornare su corso Europa e, in due minuti, trovarsi lontanissimo da qui. Poche centinaia di metri che sembrano un abisso”.

Interpretare la realtà come un insieme di segni misteriosi e minacciosi che mettono in pericolo la nostra incolumità personale, lasciare che il proprio comportamento venga influenzato da questa interpretazione arbitraria, provare per questo angoscia, rabbia e paura  di fronte a “troppe” antenne paraboliche, a donne “col velo” e ragazzini dal viso “furbetto”, provare il bisogno di fuggire per rifugiarsi in una situazione più rassicurante e familiare. Tutto ciò potrebbe benissimo chiamarsi paranoia, se non fosse più la condizione di un’intera società che il problema di un singolo, sfortunato individuo.
Articoli come questo alimentano, volutamente, la psicosi collettiva, la “famigerata percezione di sicurezza che non c’è”. Su questa “strana sensazione” partiti politici e lobby economiche stanno costruendo la propria fortuna.
In attesa del milionario giro di appalti collegato al “contratto di quartiere” che coinvolgerà Zingonia, l’Eco di Bergamo si dedica a diffondere la paura nei confronti delle ombre.

Perché questo avvenga più agevolmente, la donna con il velo, i bambini che giocano sui balconi degli Athena, i ragazzini per strada, gli uomini fuori dai locali, i proprietari delle troppe antenne paraboliche, sono e devono rimanere semplici fantasmi senza voce e senza volto.
Ombre da cui fuggire lontano, al più presto, prima che ci trascinino nell’ “abisso” di ingiustizia ed insicurezza – questa sì, reale, non percepita – che sta a pochi metri da casa nostra.

Due immagini di Zingonia

 

 

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La Lega e la memoria di Peppino Impastato

 

Riceviamo e pubblichiamo questo appello, il 26 tutti a Ponteranica

C’era da immaginarselo, mancava solo la scintilla e la bomba del contrasto tra la nostra realtà e la Lega sarebbe scoppiata. Il Sindaco di Ponteranica con la sua decisione autoritaria e antidemocratica di cancellare dalla Biblioteca del paese il nome di Peppino ha avvicinato il cerino alla miccia. Da tempo non riuscivamo a tollerare l’atteggiamento di questo partito di esaltati che ha finito per condizionare le sorti della nostra democrazia.
Sembra quasi paradossale che un paese come il nostro destinato anche dalla sua posizione geografica all’accoglienza e agli scambi interculturali, alla fusione delle etnie e ad essere la porta d’Europa verso l’Oriente e l’Africa sia finito nelle redini di questi nuovi barbari senza radici e senza cultura.
E’ logico che tali soggetti non conoscano affatto l’importanza della memoria storica e delle battaglie civili condotte in terra italiana e considerino Peppino e la sua lotta come un rifiuto ingombrante da eliminare che ricorda troppo un vecchio passato politico fatto di ideali, di sogni, di sconfitte e piccole rivoluzioni. Un passato che, in realtà, non ha mai smesso di esistere, ma che rivive nella determinazione di quanti continuano ad impegnarsi perché credono nell’alternativa possibile alla degenerazione sociale e politica e vengono continuamente calpestati da questi politicanti populisti, ignoranti, incapaci di democrazia. Sembra quasi che il mondo politico oggi raccolga quanto di peggiore ci sia nella società e soprattutto la Lega funziona perfettamente da pattumiera, riciclando anche qualche fascista che già puzza di marcio. Immaginate un Borghezio o un Calderoli qualsiasi ricoprire un qualsiasi altro ruolo o occupazione lavorativa, chessò all’ufficio postale o alla bancarella del mercato, come cameriere al ristorante o come addetto alla reception di un albergo;  come autista di un autobus o ancora come infermiere che accolga al pronto soccorso: riuscirebbero a dimostrare quella minima comprensione, quella minima pazienza o tolleranza che sono necessari per relazionarsi con le persone e superare anche le piccole difficoltà? Immagino di no.
Ecco, Peppino era l’esatto contrario, aveva sì grinta da vendere e forza d’animo, ma sapeva investirla in operazioni costruttive, la nutriva con i suoi sogni, che trasmetteva anche agli altri al contrario di chi sparge invece incubi e angoscia. Peppino ascoltava, recepiva, accoglieva a braccia aperte, come fece con l’unico ragazzo mulatto che girava a Cinisi negli anni ’60, figlio di una relazione di una cittadina del paese con un soldato afro-americano che da giovane disadattato ed emarginato divenne uno dei suoi migliori compagni di lotte e divertimenti al mare.
Possibile che il popolo italiano sia caduto così in basso da accordare il proprio appoggio a chi sta compiendo ancora oggi nel 2009 terribili atti razzisti e criminali, costringendo migliaia di nostri simili ad una sicura morte nelle acque del Mediterraneo o all’abbandono nei campi di segregazione libici e nelle prigioni dove la tortura è il pane quotidiano? Possibile che siamo così pronti a portarci sulla coscienza il peso di così tante vite spezzate o distrutte?
Sono contento che un partito come la Lega sia contrario alla memoria di mio fratello, perché in effetti nulla ha a che fare con loro e con la loro voglia di sopraffazione e di violenza, con la vergognosa segregazione consumata ai danni non solo dei migranti, ma anche dei cittadini del meridione, degli omosessuali e di quanti non rientrino nei loro standard: alto, biondo, camicia verde e spirito folle e sadico. Cos’è questo, il nuovo hitlerismo, oltre che il nuovo fascismo? Davvero è cambiato solo il colore delle insegne?
Non ci rendiamo nemmeno conto che questi che si dicono conservatori e tutori delle tradizioni e delle culture locali, in realtà, stanno cancellando tutto lo spirito tradizionale che animava le nostre comunità, tutte le nostre sonorità, il nostro bagaglio di culture e di gioie, sostituendolo con stronzate sulla falsa origine celtica dei padani, simboli e bandiere senza radici storiche e leggende che sembrano inventate da un sceneggiatore di film di serie c o di scarse fiction televisive.
Voglio ancora sperare che tutto questo possa sparire, che gli Italiani abbiano ancora un briciolo di orgoglio per ribellarsi, per liberare il paese da quelle storture che sono la mafia al sud e la lega al nord, rifacendoci all’ignoranza di quanti sostengono che la criminalità organizzata sia un problema esclusivamente meridionale.
Per questo invito tutti il 26 settembre a Ponteranica, non solo per difendere la memoria di Peppino, ma anche la dignità di questo paese.

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Keep Zingonia Real – Post Evento

 


Zingonia, il mostro nascente del nuovo immaginario della paura, fatto di pattuglie militari e migranti costretti a vivere come fantasmi.
Il "ghetto", per molti, il non-luogo per eccellenza, l’alieno piombato per caso nella piatta provincia bergamasca.
Per noi, per chi ci vive, un quartiere vessato da molti problemi, ma anche un luogo unico e pieno di risorse.

Sabato 5 settembre 2009, in occasione della notte bianca di Verdellino (uno dei comuni che si spartiscono il territorio di Zingonia), più di 20 rapper di diverse nazionalità si sono esibiti tra i palazzi di Piazza Affari per rompere lo stato di assedio che il quartiere sta vivendo, sfidare gli stereotipi generatori di paura e portare per strada energie e cultura.

La risposta della gente del quartiere è stata a dir poco calorosa. L’ass. "La Sgrignapola" spera di poter tornare presto in quella piazza, tra quei palazzi, e di poter mostrare con continuità l’altro volto di Zingonia.

Keep Zingonia real!

Ass. "La Sgrignapola"

 

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5/9/09: KEEP ZINGONIA REAL!

 

The real face of Zingonia:

 

 

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Militari a Zingonia (e oltre)

 
Giravano voci sempre più insistenti della presenza dei militari a Zingonia: una parte di quelli arrivati a Bergamo come regalo al neosindaco ex(?) missino Tentorio da parte del ministro della difesa La Russa.

In 4 giorni non se ne è vista traccia (per dovere di cronaca siamo spesso a Zingonia, ma non 24 ore su 24), tranne ieri.

Tre alpini e un carabiniere si fermano nella piazza del missile davanti ai palazzi Athena. Un alpino fa un giro dei negozi, mentre gli altri si assettano sulla jeep.

Intanto i pusher, tranquillissimi, li guardano con un misto di compatimento e ilarità. Dopo 5 minuti i militari se ne vanno.
Lo spaccio ritorna esattamente come prima.
Come è sempre tornato dopo le maxi-retate di centinaia di militari dell’arma dei carabinieri; come è tornato dopo l’installazione di un presidio di polizia locale nella piazza anni fa (soppresso ormai da tempo).


 
alpini a zingonia fine agosto 2009



L’unica cosa su cui queste operazioni hanno effetto è generare il terrore nei clandestini che lavorano in nero nella zona e che trovano abitazioni solo a Zingonia.
Se già con il pacchetto sicurezza molti non escono più di casa, se non per andare al lavoro, la presenza dei militari non fa altro che peggiorare la loro situazione. Essi sono stati ridotti da persone a semplici braccia da lavoro, per merito dell’operato dei governi degli ultimi anni. L’unica cosa che possono fare è lavorare in nero, in balia di un datore di lavoro che può permettersi di chiedere prestazioni disumane sotto il ricatto continuo dell’espulsione.
Ricordiamo infatti come, a parte il caso delle badanti, dopo il blocco dei flussi, con i quali era comunque difficile regolarizzarsi, non esiste alcun modo perchè una persona straniera possa venire a lavorare in Italia (a meno che non sia una ballerina o un calciatore).

Abbiamo le frontiere chiuse, senza alcuna differenza come dicono i leghisti tra chi viene qui per delinquere o chi viene qui per lavorare (tra l’altro ci piacerebbe sapere come si possa effettuare una discriminazione tra gli ingressi in base a questo principio: come se i doganieri dovessero chiedere ai migranti se vogliono entrare in italia per commettere reati e in caso fossero talmente fessi da rispondere affermativamente, respingerli)

Ma uscendo da Zingonia (che ha bisogno di tutto tranne che di alpini in jeep) e allargando lo sguardo sull’intera provincia si vede come i militari siano arrivati. Infatti stanno già rendendo più sicure le nostre strade: prontamente una pattuglia mista carabinieri-alpini ha fermato e denunciato a Bergamo un quarantenne che orinava all’aperto in piazzale Alpini (e taciamo sul palese conflitto d’interessi).

Ma è sempre bello vedere la razionale disposizione degli uomini sul territorio, messi nei punti giusti perchè ovviamente servono e nessun disfattista oserebbe mai dire che i nostri amministratori non sanno che farsene; ne dà prova il neo sindaco leghista di Dalmine, totalmente ignara della presenza dei militi sul suo territorio (link).

E nessuna dislocazione in altri quartieri o strade ci convincerà mai che i militari sono utili per l’ordine pubblico, perchè i soldati ci sono perchè esiste la guerra, i soldati sono addestrati a fare la guerra, i soldati operano normalmente in teatri di guerra.

E concludiamo così, con l’evidente ed ulteriore prova di un’operazione di facciata, augurandoci che non ci si abitui alla loro presenza. O è forse questo lo scopo nascosto dietro quest’operazione?

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Nel nome del figlio

 
Scoperta l’origine psichica delle provocazioni del ministro Bossi
16 agosto 2009 – Rouge (non sa usare il filo interdentale)
Fonte: cartella psichiatrica trafugata
Scoperta finalmente la ragione di tanta avversità da parte di Umberto Bossi nei confronti dell’inno di Mameli e del tricolore italiano.
Nessuna pulsione secessionista dietro le sortite antipatriottiche del ministro della Lega, bensì un’incondizionata repulsione nei confronti di tutto ciò che il figlio Renzo non riesce ad assimilare sui banchi di scuola da qualche tempo a questa parte.
Scatterebbe cioè nel subconscio del leader del Carroccio un’empatica immedesimazione nelle fatiche del rampollo alle prese ogni anno con l’insormontabile prova di maturità.
Si teme quindi che prossimamente, in fatale sovrapposizione con le lacune culturali del figlio, l’onorevole Bossi arriverà a contestare:
– la teoria eliocentrica in quanto poco federalista e troppo gravitante attorno al “Sole ladrone”;
– l’evoluzionismo darwiniano incapace di spiegare l’atipicità di Mario Borghezio;
– il sistema numerico arabo per sua stessa natura barbaro e retrogrado;
– il teorema di Pitagora in quanto accozzaglia di simboli giudaico-massonici;
– i tre principi della termodinamica perché incomprensibili finanche a Calderoli.
In compenso, e sempre per effetto della stessa paterna identificazione, non rischiano alcuna scomunica la teoria patinata delle conigliette di Playboy e quella epico-culinaria della polenta come sorgente di vita.
 
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Padan-funì: è arrivato il telefonino del perfetto padano

 
PONTIDA- La tecnologia padana forgia un nuovo gioiello di telefonia per i suoi utenti, in perfetto timing con la commemorazione per il 10° anniversario della Secessione e fondazione della Padania. A margine delle sfilate delle varie bandiere del Ducato Padano, infatti, il manager della MincioTec,  già insignito della coccarda di Gran Laura-Dür per meriti professionali, ha mostrato alla folta platea di giornalisti presenti un telefono cellulare ideato per rispondere al meglio alle esigenze di ogni patriota padano.
La lingua delle impostazioni, infatti, permette di scegliere fra numerosi idiomi nazionali padani,  pur avendo di default  il Padanio, lingua codificata 5 anni or sono e prevista come lingua ufficiale dalla Carta della Padania. La MincioTec si è detta particolarmente orgogliosa della messa a punto di un software che comprende tutti i caratteri speciali, dal bresciano al fiumano, risolvendo l’annoso problema della visualizzazione sfalsata di alcune lettere nei modelli precedenti dei suoi prodotti. Un servizio di segreteria all’avanguardia decripta i prefissi delle chiamate in entrata e attiva una risposta automatica in base alla provenienza della telefonata.
Una speciale opzione consente di attivare la ricezione settimanale di aforismi del defunto Senatur del Carroccio, poi agilmente salvabili nella memoria dell’apparecchio e ordinabili in base al tema. << In questo modo- spiegano alla MincioTec- sarà possibile consultare in ogni momento della giornata le massime su cui si fonda il nostro ducato, ed in particolar modo pensiamo ai giovani, spesso intrisi del nichilismo che giunge dalla Repubblica Popolare dell’Oltrepo>>. Parere positivo anche dal Consiglio Padano del Culto, che apprezza la scelta del verde celtico come unica tinta per il Padan-funì e delle varie icone scaricabili dal sito internet, tutte incentrate sulla simbologia padano-celtica e approvate da un’apposita commissione di studio. Per personalizzare il cellulare, ogni utente può collegarsi al sito www.minciotec.pad e scaricare suonerie come il Va Pensiero, il Piave mormorò o Faccetta Nera d’Irpinia.
Una bussola incorporata indica sempre il Nord-Est, per ricordare i grandi meriti del Veneto nel trainare i popoli padani verso la loro libertà ed indipendenza, e  il GPS contiene cartografia sempre aggiornata, oltre ad un convertitore automatico di valute dei vari Territori Padani e un traduttore Milanese-Veneziano-Torinese. È possibile acquistare un dispositivo in grado di misurare la distanza dal Po da qualunque punto del Ducato. Senza costi aggiuntivi, dal telefonino si possono ascoltare le frequenze delle varie radio territoriali, senza timore che i segnali internazionali della Repubblica Federale di Terronia interferiscano con la ricezione.
Ulteriore attenzione per le radici culturali ed ideologiche della nazione si riscontra nell’elenco predefinito dei numeri gratuiti di utilità pubblica, su tutti quello per segnalare la presenza di soggetti non autoctoni in sospetta libera uscita dal lavoro. Basterà premere il tasto 5 per collegarsi con l’apposito Ministero dell’Invasione, e alla segnalazione si può allegare una foto scattata in diretta in alta risoluzione.
Il Padan-funì si annuncia già come gadget irrinunciabile e i maggiori centri commerciali registrano vendite record, grazie anche all’abile scelta di Bufon, capitano della nazionale padana di tiro del tronco, come testimonial d’eccezione.
Il Padan-Funì è, insomma, l’ennesimo esempio di efficienza delle industrie padane, che sanno coniugare intraprendenza commerciale ed avanguardia tecnologica al rispetto per le tradizioni locali, un’ulteriore tappa verso il consolidamento di questo nostro giovane, ma orgoglioso Ducato. 
 
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La fiducia – racconto della bassa

 
“Negri maledetti”, pensò Francesco asciugandosi il sudore che gli colava lungo le sopracciglia, sotto la zanzariera imbevuta di DDT. “Se ne vanno in giro tranquilli e beati, sembra che perfino le zanzare abbiano schifo della loro puzza”.
Il ragazzo osservò con calma i due giovani senegalesi, attraverso il mirino del il fucile di precisione. Si scambiavano una stretta di mano davanti all’entrata di un palazzone dalla facciata decrepita, sorridevano. Francesco odiava quei denti troppo bianchi. Trattenne il respiro. Il cuore batteva piano, nonostante la tensione, aiutato dai farmaci che l’Armata del Nord gli passava ogni mese per conservare salde le sue mani e ferma la sua mira micidiale.
Lasciò partire il colpo. Uno dei due senegalesi si lasciò cadere a terra, l’altro iniziò ad urlare.
Francesco si sedette sul pavimento e appoggiò il fucile alla parete di fianco a sé. Non ne poteva più di stare a Zingonia. Quando si era arruolato nella Divisione Terra Insubre, a Busto Arsizio, non immaginava che lo avrebbero mandato così lontano da casa, sul fronte bergamasco. Lì era pieno di negri. Alcuni stavano organizzando una sorta di resistenza all’assedio, aiutati dai traditori che non avevano voluto unirsi all’Armata del Nord.
I sozzi abitanti di Zingonia sembravano immuni alla malattia che stava devastando la pianura più vasta dell’ex Repubblica Italiana. I meticci proliferavano, brulicavano in ogni angolo di quel posto fetido come scarafaggi, mentre i cittadini di pura razza padana morivano in preda alla febbre. All’inizio nessuno riusciva a spiegare cosa stesse accadendo. Le estati sempre più calde, gli inverni sempre più miti preoccupavano qualche catastrofista, ma le prime morti erano passate quasi inosservate, anche perché molte erano avvenute negli ospedali sotterranei per non-cittadini. I telegiornali trasmettevano quotidianamente ore e ore di servizi sul revival del gelato e sugli incidenti autostradali causati dai drogati.
Poi, quando i casi iniziarono a farsi troppo numerosi per essere nascosti alla popolazione, si iniziò a parlare di un misterioso contagio proveniente dall’Africa, o forse dall’Asia. Qualcuno notò che gli stranieri di origine africana venivano in gran parte risparmiati dallo strano male.  Sobborghi abitati da stranieri vennero dati alle fiamme, la scuole miste vennero chiuse. Si costituì l’Armata del Nord, che prese possesso di ampie zone del paese proclamando una miriade di repubbliche indipendenti con l’intenzione di bonificarle dagli untori.
Un’équipe di infettivologi milanesi comprò di tasca propria una pagina sul principale quotidiano ex-nazionale, spiegando che il misterioso contagio era semplicemente malaria, portata da zanzare anopheles attratte dal clima divenuto tropicale. La maggioranza delle persone di origine africana erano portatrici di una mutazione genetica che le rendeva parzialmente resistenti alla malattia. Invece di organizzare pogrom, suggerivano gli scienziati, si sarebbe dovuto provvedere a comprare scorte di zanzariere, insetticidi e farmaci antimalarici.
Il giorno successivo, l’ospedale milanese in cui lavorava l’équipe di infettivologi venne colpito da svariati proiettili di mortaio.
L’Armata del Nord fece incetta di zanzariere e DDT per distribuirli ai propri miliziani. La guerriglia si diffuse come un incendio tra le sterpaglie.
Francesco era apprendista idraulico da due anni, all’epoca dell’epidemia. Il video di propaganda “sono incazzato” lo convinse all’istante: lui era davvero incazzato, a volte avrebbe voluto spaccare il cranio del suo capo con un tubo. Invece avrebbe spaccato il cranio dei negri con un fucile , perché l’Armata del Nord gli aveva aperto gli occhi.
“Bravo, tè sì che hai i coglioni”, gli aveva detto il capo. “L’avrei fatto anch’io, alla tua età!”. Era il primo complimento che gli faceva in due anni. Francesco capì di essere sulla strada giusta.
La sua capacità di svuotare totalmente la testa da ogni pensiero lo aveva reso degno di nota tra i suoi commilitoni. Un cecchino formidabile, dalla concentrazione inflessibile. Venne spedito sul fronte più duro, dove servivano uomini come lui.
Zingonia.
Stava ormai da una settimana in quel negozio di kebab semidistrutto, con lo sguardo perennemente rivolto ai palazzi Anna. I négher maledetti avevano minato la kebabberia, prima di andarsene. Il soldato che era con lui era morto così, saltato per aria mentre si avvicinava allo spiedo della carne. Era curioso, non aveva mai assaggiato un kebab. Voleva controllare se faceva davvero schifo come dicevano tutti.
Aveva finito le scorte di cibo e i rinforzi ancora non si vedevano. La squadra di soccorso doveva avere incontrato resistenza, poteva sentire le raffiche di mitragliatrice poco distanti. Il caldo lo torturava, come pure il ronzio incessante delle zanzare che cercavano di aprirsi un varco attraverso la rete che lo copriva per intero. Aveva bisogno di fare qualcosa, di spaccare un’altra testa, di alzarsi ed uscire da quel buco, altrimenti sarebbe impazzito, lo sentiva.
“Aiuto!” sentì gridare da fuori. Una voce femminile, acuta, dall’inconfondibile accento bergamasco. Francesco prese il fucile, ed uscì.
Tra le rovine del negozio di tappeti persiani, una ragazza bionda lottava contro un bruto dalla pelle olivastra. Il négher stringeva in mano un coltello da caccia, e cercava di puntarla addosso alla giovane, che gli tratteneva il braccio con entrambe le mani.
Nella mente di Francesco passarono in fretta le immagini del video “Ho paura”, in cui pure e bionde ragazze padane si appellavano ai loro difensori affinché le liberassero dalla minaccia costante della violenza straniera.
Francesco non esitò: prese la mira, puntando il fucile alla testa dello scuro scimmione. Le sue mani erano ferme, nessun pensiero lo turbava. Fece fuoco.
L’uomo armato di cotello cadde all’istante.
La ragazza bionda si girò verso di lui, sorridente. Francesco ricambiò il sorriso.
“Non dovresti fidarti troppo dei tuoi simili”, disse la ragazza. Poi estrasse dalla borsa una pistola, e sparò nel cuore al soldato.
Mentre agonizzava, Francesco fece appena in tempo a notare il piccolo stemma dei Patrioti Padani che l’uomo olivastro, Cristiano Esposito, della Divisione Terroni Rinnegati, membro della squadra di soccorso dell’Armata del Nord, portava sul bavero della giacca.
La ragazza si sistemò la zanzariera sui capelli biondi e si avviò verso la base dei resistenti. Avrebbe chiesto il permesso di farsi una doccia, anche se non era il suo turno. Dopotutto, se l’era meritata.
 
 
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