L’Eco di Bergamo scopre Zingonia: la paura delle ombre

 

Dopo anni di relativo silenzio, sembra che il principale quotidiano della provincia di Bergamo abbia deciso di occuparsi estesamente di Zingonia, dedicando a questa particolare zona della Bassa bergamasca fior di titoli ed editoriali.
Per una fortunata e, forse, non fortuita coincidenza, proprio in questi mesi la zona di Zingonia è al centro dell’interesse della Regione, della Provincia e di svariate società immobiliari per la realizzazione di un faraonico “contratto di quartiere” che dovrebbe cambiarne definitivamente i connotati, determinando, tra l’altro, la distruzione e la ricostruzione di svariati palazzi abitati soprattutto da migranti.
Vediamo quale prospettiva di osservazione ha deciso di adottare l’Eco di Bergamo, quotidiano di proprietà della Curia di Bergamo:

“Strade deserte- si ferma solo chi cerca droga”, è il titolo dell’articolo apparso domenica 11 ottobre.
“E’ davvero un quartiere strano Zingonia”, prosegue il testo, “Alle 16 di un mercoledì pomeriggio di inizio ottobre basta lasciare corso Europa e svoltare con l’auto in via Monaco, strada nota alle cronache degli ultimi anni per i numerosi arresti di spacciatori da parte delle forze dell’ordine, per entrare in un mondo diverso anni luce dagli altri paesi della Bassa”.
Nota alle cronache, sostiene il giornalista. È interessante come la stampa divenga unico riferimento di se stessa nel creare una descrizione intenzionalmente tesa a creare disagio nel lettore. Zingonia, hic sunt leones. Attenzione, lettori dell’Eco di Bergamo, non sapete cosa vi aspetta.

“Qui ci sono i fantomatici palazzoni Athena: tre torri color marsala ingrigito che, se da lontano sembrano solo palazzoni con troppe antenne paraboliche sui balconi, da vicino mostrano il peggio della loro realtà di degrado e abbandono”.
Eccoci davanti agli Athena. Senz’altro non abitazioni signorili con annesso giardino all’inglese: sono palazzoni scrostati e privi da anni di adeguata manutenzione, certo. Ma quanto “vicino” si è spinto il giornalista, in questa situazione di “degrado e abbandono”? Di certo non abbastanza da scambiare due parole con gli abitanti, chiedere perché vivono lì, magari intuire che gli affitti disumani e il controllo asfissiante dell’idoneità abitativa utilizzato come mezzo di allontanamento dai centri storici dei cittadini stranieri li obbligano a vivere in quel posto “color marsala ingrigito”.
Viene spontaneo poi chiedersi perché la antenne paraboliche sarebbero “troppe”. Rispetto a quale standard? Semplice criterio estetico, o volontà di suggerire che quelle antenne puntano verso i paesi d’origine di “troppi” stranieri?

“Tutt’intorno è un dispiegamento di sacchetti dell’immondizia colorati e rifiuti. Sui balconi c’è di tutto…”
A quanto pare il valente giornalista si è avvicinato abbastanza ai pericolosissimi Athena da poter osservarne i balconi, su cui c’è “di tutto”. Siamo davvero curiosi.

“…Mobili, elettrodomestici, fili penzoloni. Mentre una donna col velo si affaccia a una finestra del primo piano e osserva i due bambini che giocano sul balcone accanto, proprio nel prato sottostante tra ragazzi stanno giocando a palla”.
Dunque sui balconi ci sono mobili, donne (seppur velate) e bambini. Una visione terrorizzante. Zingonia è davvero un quartiere strano! Ma subito il giornalista prende per mano lo sprovveduto lettore e gli spiega di cosa deve avere paura:

“Fermarsi con l’auto, qui, vuol dire avere bisogno di droga. Anche alle 16 del pomeriggio. Anche se, proprio due minuti prima, di qui era passata la jeep con la pattuglia degli alpini”.
Ora, secondo le regole del buon giornalismo investigativo, servono le prove, che arrivano  puntuali:
“Fermarsi con l’auto a lato della strada in via Monaco non passa inosservato: i ragazzini che stanno giocando si interrompono bruscamente. Uno, sguardo vispo da furbetto (sic!), si avvicina alla recinzione e ci fissa: fa un cenno verso di noi, come per chiederci se ci serve qualcosa”.
Indicazioni stradali, per caso? Semplice curiosità? Certo che no, siamo a Zingonia, il ghetto della Bassa, in una zona “nota alle cronache”. Dunque, il ragazzino è di certo uno spacciatore:

“Basterebbe dire di sì per comprare probabilmente dell’haschisch”.
Qui il giornalista posa per un attimo la sfera di cristallo e impugna un cellulare, fingendo di telefonare:

“Il ragazzo – forse anche minorenne – torna a giocare. A questo punto non è difficile notare che la strada è completamente deserta. Mentre sull’altro lato del complesso residenziale c’erano decine di stranieri fuori dai vari locali, qui dietro, a soli pochi metri, non c’è nessuno. Non fossero le quattro del pomeriggio, ci sarebbe quasi da aver paura a stare qui”.
Qui davvero si sfiora il ridicolo, con il terrore declinato al condizionale e senza nemmeno l’ombra di una minaccia reale che possa giustificarlo. L’articolo descrive una strada di periferia, in pieno pomeriggio, con donne affacciate ai balconi e ragazzini che giocano a calcio. Eppure, dovremmo rabbrividire leggendo questa descrizione. Perché?

Eccola, la famigerata percezione di sicurezza che non c’è. È questa strana sensazione di non sentirsi per nulla al sicuro, di non potersi fermare al lato della strada senza essere scambiati per persone in cerca di droga. Ma basta mettere in moto, tornare su corso Europa e, in due minuti, trovarsi lontanissimo da qui. Poche centinaia di metri che sembrano un abisso”.

Interpretare la realtà come un insieme di segni misteriosi e minacciosi che mettono in pericolo la nostra incolumità personale, lasciare che il proprio comportamento venga influenzato da questa interpretazione arbitraria, provare per questo angoscia, rabbia e paura  di fronte a “troppe” antenne paraboliche, a donne “col velo” e ragazzini dal viso “furbetto”, provare il bisogno di fuggire per rifugiarsi in una situazione più rassicurante e familiare. Tutto ciò potrebbe benissimo chiamarsi paranoia, se non fosse più la condizione di un’intera società che il problema di un singolo, sfortunato individuo.
Articoli come questo alimentano, volutamente, la psicosi collettiva, la “famigerata percezione di sicurezza che non c’è”. Su questa “strana sensazione” partiti politici e lobby economiche stanno costruendo la propria fortuna.
In attesa del milionario giro di appalti collegato al “contratto di quartiere” che coinvolgerà Zingonia, l’Eco di Bergamo si dedica a diffondere la paura nei confronti delle ombre.

Perché questo avvenga più agevolmente, la donna con il velo, i bambini che giocano sui balconi degli Athena, i ragazzini per strada, gli uomini fuori dai locali, i proprietari delle troppe antenne paraboliche, sono e devono rimanere semplici fantasmi senza voce e senza volto.
Ombre da cui fuggire lontano, al più presto, prima che ci trascinino nell’ “abisso” di ingiustizia ed insicurezza – questa sì, reale, non percepita – che sta a pochi metri da casa nostra.

Due immagini di Zingonia

 

 

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2 Responses to L’Eco di Bergamo scopre Zingonia: la paura delle ombre

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  2. mau666 says:

    forse in italia ce n’è TROPPA di libertà d stampa, libertà di srivere cazzate, naturalmente!
    complimenti per l’analisi del’articolo

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