Tra zero e un delitto – Quinto racconto della bassa

Tra zero e un delitto

Tra
zero e un delitto

Come?

Ha
capito benissimo
!”

E’
proprio lui?

Senta
signora, già le stiamo facendo un favore. Lei non è la
moglie, non è una parente, non è nessuno. Dovrebbe
essere contenta perché l’abbiamo chiamata. Vuole muoversi
oppure no? Altrimenti ci pensiamo noi a risolvere la situazione
.”

Arrivo.
Arrivo subito
”.

Natalya
rimase immobile con il cellulare in mano. Non riusciva ancora a
credere che non si trattasse di uno scherzo idiota. Eppure le avevano
passato il sindaco in persona, aveva riconosciuto la voce. Al sindaco
piaceva farsi intervistare, le sue trovate creative spesso attiravano
l’attenzione anche delle televisioni nazionali e l’avevano fatto
diventare un esponente noto e rispettato del partito Demopadano; la
sua era una voce nota, insomma.

Non
era tipo da telefonare ad un’ucraina qualsiasi senza una valida
ragione.

Natalya
si guardò intorno, cercando istintivamente il sostegno di
Vitaly. Ma lui non c’era, e non poteva aiutarla.

Suo
figlio Vitaly se n’era andato.

Avrebbe
dovuto cavarsela da sola.

Infilò
il cappotto, e anche il cappellino con le rose dipinte che aveva
comprato al mercato due settimane prima. “A lui piace tanto,
dice che mi fa sembrare una ragazzina
”, le capitò di
pensare. E poi faceva freddo ormai, un freddo umido e grigio che
pareva destinato a durare per sempre, e che non le andava di
affrontare a capo scoperto.

L’autunno
in Valpadana.

Uscì
in fretta dal monolocale, ricavato nell’angolo di un cortile da
quella che una volta era stata una stalla, e attraversò di
corsa il centro di Cordoglio al Membro. Le pareva che da ogni
finestra qualcuno la stesse a fissare, ma non se ne curò.

Ci
era abituata.

Da
quando era arrivata in paese, non ancora domata dalla nebbia, gonna
corta, capelli ossigenati, determinata a imboccare anziani e pulire
pavimenti senza perdere lo stile, aveva avuto su di sé occhi
di sconosciuti in ogni istante. O almeno durante le due ore libere
che usava per andare a fare la spesa e fumarsi una sigaretta al
parco. Quando con il passare degli anni, faticosi e monotoni, era
riuscita finalmente ad affittare un monolocale solo per sé e a
lavorare solo durante il giorno, non le era dispiaciuto vivere in una
cascina mezza diroccata lontana dalle altre case.

E
poi a Vitaly piace la campagna…

Arrivò
presto davanti alla folla di curiosi, improbabili fotografi dei
quotidiani locali (che in realtà si trovavano in zona per
documentare la decapitazione di una statua della Madonna per opera di
presunti satanisti locali), ragazzini in motorino, catechiste appena
uscite dal vicino oratorio.

In
fondo intravedeva il cordone dei carabinieri, il sindaco che
sbraitava rosso in volto, e l’intero corpo della Polizia locale di
Cordoglio al Membro, che superava ormai per numero ed intraprendenza
ogni altra forza armata della zona.

All’improvviso
tutto il suo coraggio venne a mancare, e si sentì stanca,
senza fiato.

Discosta
dalle altre c’era un’auto bianco verde della locale, parcheggiata
in malo modo. Due finestrini erano esplosi, e la rosa camuna dipinta
sulla fiancata appariva decorata da molti piccoli fori.

Pallini
da caccia.


E’ tutto vero, allora”, pensò Natalya.

 

 

Il
sindaco avanzò verso di lei a grandi passi, scortato dal
maresciallo e da due vigili, petto in fuori e pancia in dentro, a
beneficio dei fotografi.

Ma
lei lo sa cosa sta succedendo? Ma lei lo sa?
” Quando si
arrabbiava, il sindaco tendeva a diventare pleonastico.

No.
Me lo dica lei, per favore
”, rispose Natalya. Il sindaco
l’aveva presa per una manica, e la stava strattonando. Si liberò
con un movimento secco del braccio, e questo provocò un nuovo
picco nella pressione arteriosa del primo cittadino. Ammutolito dalla
stizza, si limitò ad indicarle l’auto della Polizia locale
decorata da una nuova rosa sulla portiera.

Ecco.
Ecco. E poco fa ha sparato di nuovo. Solo perché volevamo
parlargli
!” squittì il sindaco, perdendo il controllo
della sua voce ben impostata.

Lei
lo conosce. Lo faccia ragionare. Cerchi di capire cosa vuole
”,
le disse in tono più pacato il maresciallo. “Ma niente
imprudenze. Se la minaccia scenda giù subito. Capito?”

Natalya
però stava già salendo le scale della palazzina, un
condominio rivestito di piastrelle marroncine simile a decine di
altri costruiti negli anni ’70 da un imprenditore locale che
attualmente risiedeva in Costa Rica.

Carlo!
Carlo! Sono io! Sto venendo su, ohi!”

Mentre
Natalya apriva con le proprie chiavi la porta dell’appartamento,
Carlo Zuccotti spalancò per la finestra, gridando “Aria
ai monti, merda ai conti!
”e scaricò il fucile da caccia
in direzione degli agenti della Polizia locale, che si erano però
portati fuori tiro.

Carlo!
Smettila subito!”

Il
pensionato rimase in silenzio, di fronte alla finestra aperta.

Carlo,
cretino, chiudila subito! Dai che ci sono qua io! Chiudila se no ti
prendo a sberle, giuro!
”.

Carlo
si voltò lentamente e posò il fucile di fianco a sé,
mentre Natalya si precipitava a chiudere la finestra, vetri e
persiane di legno.

Ada
te. Natalya. Sa fét ché?

Mi
ha chiamato il sindaco
.”

Ah,
ecco. Brao, bravo quello, ostia
. I suoi vigili si cagano
addosso anche se c’hanno la pistola, e lui manda su te
.”

Venivo
lo stesso, lo sai.”

Natalya
si guardò attorno: il pavimento del piccolo soggiorno era
ricoperto da fogli di giornale accartocciati e cocci di ceramica,
tutto ciò che restava della piccola collezione di piatti
decorativi della defunta moglie di Carlo. Tra le testate dei
giornali, la più rappresentata era di gran lunga quella del
settimanale locale, la “Voce del Membro”.

Dio
santo, Carlo, cos’hai combinato?”

Lasa
sta. Se sei venuta a fare la predica, torna giù da quelli là”.

Ma
dove l’hai preso il fucile? Dici sempre che ti stanno sulle balle i
cacciatori!”

E’
quello di mio fratello buonanima, che l’era uno scemo. Me l’ha
lasciato a me, l’era in garage da dieci anni. Diceva che lo
lasciava a me per i ladri, e me al dorve per i guardie”.

Carlo,
dai, me lo versi un bicchiere di vino?”

Dieci
minuti più tardi i due stavano seduti sul pavimento, nel mare
disordinato di carta e paesaggi agresti in frantumi. Non sembrava il
caso di mettersi a sedere in cucina. Non era un pomeriggio normale,
tanto valeva non comportarsi da persone normali, amen e via,
aveva detto Carlo. La normalità era sparita da un pezzo,
sollevata e gettata via come il velo di panna che riveste il latte
quando lo si lascia bollire troppo.

Natalya
beveva a sorsi lenti un bicchiere di bianco tiepido. Si guardava i
piedi, le gambe, poi le mani. Il dorso chiaro cominciava a lasciar
vedere le vene, serpentelli bluastri in cui scorreva lenta la sua
vita inceppata. Ormai andava per i cinquanta, solo le più
inacidite casalinghe di paese potevano essere gelose di lei. Come se
i loro mariti fossero così desiderabili, poi. Chi li voleva?
Natalya voleva solo dei soldi, soldi guadagnati duramente, per
tenersi stretto il permesso di soggiorno, per vivere in una casa vera
e non sui divani dei vecchi cui prestava le ultime cure, per poter
rivedere Vitaly.

Vitaly.
Suo padre era un vero stronzo, niente da dire. Un untuoso prepotente
che aveva almeno avuto il buon gusto di sparire presto dalla vita di
Natalya e di suo figlio. Ecco perché non sarebbe certo andata
a cercarsene un altro tra i begli esemplari maschili di Cordoglio al
Membro.

Vitaly
era l’opposto di suo padre, una specie di risarcimento al mondo;
non poteva tollerare le ingiustizie, lui.

Ecco
perché me l’hanno preso. Non riuscivano a piegarlo, l’hanno
dovuto spezzare.

Natalya”,
disse Carlo.

Carlo”,
disse Natalya.

Quel
pomeriggio di ottobre, Vitaly Afanashenko era uscito di casa dopo
aver litigato con sua madre. Lei sosteneva di non aver toccato le sue
cose, ma lui aveva trovato libro che stava leggendo in un posto
diverso da dove l’aveva lasciato la sera prima. Era un libricino
che gli aveva prestato una sua amica, e si intitolava Suicidi in
capo al mondo
.

Sta
a vedere cosa ha pensato. Minimo ora corre da Carlo a farglielo
vedere e a dirgli che mi voglio buttare nel Membro, o iniziare a
farmi le pere. Povera mamma, non sa nemmeno che qui non vanno più
di moda, le pere
. Non lo capisce, che a leggere delle sfighe
degli altri passano di mente le nostre”.

Vitaly
non riusciva a smettere di pensarci, perché non gli capitava
spesso di litigare con sua madre.

Da
quando aveva ottenuto il ricongiungimento familiare, dopo anni a
cambiare cateteri e pulire piaghe da decubito, Natalya aveva fatto
tutto ciò che era in suo potere perché il
diciassettenne Vitaly vivesse nel migliore dei modi possibili. Il
ragazzo lo capiva, e non si lamentava spesso. Ormai erano passati
quattro anni, aveva finito le serali e trovato un lavoro come
assistente idraulico, si era innamorato e disamorato di una ragazza
del paese.

Aveva
ventuno anni, però, e a volte non ne poteva più di
vivere in un monolocale di trenta metri quadri con sua madre. L’unico
aspetto positivo della situazione era la vicinanza ad un boschetto,
uno dei pochi fazzoletti di verde su cui negli ultimi anni non
avevano costruito villette a schiera dai colori psichedelici. Solo
perché essendo troppo vicino alla roggia il terreno era molle
e cedevole, probabilmente.

Vitaly
sapeva che, prima del suo arrivo, Carlo Zuccotti aveva proposto a sua
madre di andare a vivere nel proprio appartamento. Natalya aveva
detto no. Voleva stare da sola, con il figlio che non vedeva da
quattro anni. Recuperare il tempo perduto, una roba del genere.
Eppure il vecchio non è male. Non è un porco bavoso.
Non vuole fare il padre. Si incazza un po’ facilmente, quello sì.

Così
Natalya passava da Carlo per spolverargli la cucina e bere un
bicchiere di vino. Vitaly per riparargli il vetusto lavandino della
cucina e per parlare di come girano le cose al mondo.

Sì,
il vecchio gli piaceva, e lui piaceva al vecchio. Nulla di
complicato. Eppure i vicini lo guardavano storto, quando lo
incontravano per le scale o in ascensore. Sembrava volessero
controllare che non avesse per caso rubato un posacenere o un poggia
pentola.

Questi
pensieri non scacciavano certo il malumore. La giornata era iniziata
male, tanto valeva passare qualche ora tra tubi, chiavi inglesi e
bulloni; lo avrebbe rilassato. Avrebbe rimesso a nuovo il sistema
idraulico della casa di Carlo. Vitaly aveva voglia di camminare,
prese la cassetta degli attrezzi dalla sella del motorino e si avviò.
La cassetta era pesante, ma era un peso che gli piaceva portare; si
fidava dei propri attrezzi, sembrava quasi che gli facessero
compagnia.

Attraversò
il paese a passo spedito, trovando che la cassetta degli attrezzi gli
conferisse una sorta di rispettabilità: dopo quattro anni
trascorsi a Cordoglio, per la maggior parte degli abitanti del paese
lui era ancora “il figlio della russa”, e si meritava lunghe
occhiate inquisitrici quando passava per strada. Gli era capitato di
sentire gruppetti di uomini seduti fuori dai bar bestemmiare contro
gli stranieri che stavano in giro a fare niente. Si era
concesso una risata silenziosa, colpito dall’evidente assurdità
di tali affermazioni; nonostante ciò, gli succedeva a volte di
sentirsi nudo e colpevole di fronte allo sguardo dei membri di quelle
stesse compagnie da bar, quando passeggiava senza la sua cassetta.

In
dieci minuti arrivò di fronte al palazzo dove viveva Carlo.
Suonò il citofono. Nulla. Riprovo per due volte, a brevi
intervalli. Nulla di nuovo.

Sarà
andato a giocare a bocce con gli altri vecchi. Che palle. E ora che
faccio? Giornata di merda.

Era
sabato pomeriggio, il suo umore era in caduta libera, i suoi amici
erano sicuramente in centro a fare le vasche con le rispettive
ragazze, oppure alle Fonderie a cazzeggiare.

Vitaly
non aveva più una ragazza, e trascorrere il pomeriggio in un
centro commerciale commentando i prezzi delle scarpe da tennis e
guardando culi in ascesa sulle scale mobili non lo aveva mai attirato
molto.

Al
massimo poteva piacergli girare tra gli attrezzi nuovi al Brico-ok,
ma non conosceva nessuno che avesse la stessa predilezione.

Decise
di andare al Cascinetto. Lì avrebbe potuto finire il libro in
pace, e poi anche a sua madre avrebbe fatto bene un pomeriggio di
solitudine. Riprese a camminare, stavolta verso casa.

Il
Cascinetto era un buon posto per pensare agli affari propri, leggere,
fumare, meditare sui massimi sistemi o pomiciare. Era solo un rudere,
una cascina abbandonata circondata dal boschetto che resisteva,
eroico, poco lontano dal monolocale di Natalya e Vitaly. Quattro mura
di mattoni racchiudevano quello che una volta era stato un cortile e
che ora sembrava un giardino selvatico di acacie e piante e sambuchi;
un locale lungo e stretto con il pavimento ricoperto di residui di
paglia marcia, due piani di appartamenti dal tetto mezzo sfondato
completavano il quadro.

Sulle
pareti esterne si potevano ancora scorgere i resti dei rozzi dipinti
che ornavano la casa contadina: la Madonna con Gesù bambino,
santa Lucia con gli occhi bendati.

Qualche
mese prima, il Cascinetto era stato elevato al rango di problema di
ordine pubblico, a causa di una serie di articoli pubblicata dal
settimanale locale.

L’unico
elettrauto del paese, che frequentava la vecchia cascina abbandonata
per lasciarvi periodicamente le batterie di auto usate, aveva
raccontato al suo amico vigile che al Cascinetto si trovavano
preservativi, mozziconi di sigarette non fumate, cicche sospette e
scritte murali irriverenti nei confronti dei tutori dell’ordine. Il
vigile ne parlò all’assessore alla sicurezza, insieme al
quale frequentava una palestra molto amata anche dal cronista locale
della Voce del Membro.


Tanto bastò perché il sindaco ordinasse una bonifica
immediata della fonte di degrado.

L’assessore
spedì il vigile palestrato e i suoi colleghi a circondare il
Cascinetto con una rete arancione, il giornale pubblicò una
bella fotografia a tutta pagina; il giorno dopo il Cascinetto tornò
a popolarsi dei propri abituali frequentatori.

Vitaly
arrivò al Cascinetto in pochi minuti di cammino spedito. Si
sistemò sull’erba ancora umida, con la schiena appoggiata al
muro di mattoni, ed estrasse il libro dalla tasca posteriore dei
jeans. Si mise a leggere di un piccolo paese in Patagonia dove
c’erano solo petrolio, bordelli, vento e ragazzi suicidi. La storia
gli piaceva, era contento del fatto che la sua amica gli avesse
prestato qual libro. A dire il vero, gli piaceva anche l’amica, ma
non aveva ancora trovato un modo per farglielo capire. Però
il libro l’ha prestato a me, solo a me, non agli altri scemi
.
Quando l’avrò finito, dovrò andare da lei a
restituirlo, farò in modo che ci vediamo da soli.

Mentre
pensava così, la nebbia leggera che copriva il boschetto si
era diradata e l’aria si era fatta più calda. Vitaly poggiò
il libro sull’erba, vicino a sé, e si addormentò con
il sole in faccia.

Gli
agenti dell’NS-CoMe si preparavano all’azione. Si erano tutti
offerti volontari per il turno straordinario del sabato pomeriggio.
L’assessore alla sicurezza li aveva avvertiti: era sabato
pomeriggio, era possibile che al Cascinetto ci fosse solo qualche
ragazzo del paese. In tal caso, avrebbero dovuto perquisirlo, fare un
po’ di scena in modo che poi lo raccontasse in giro e si sapesse
che la musica era cambiata, ma senza esagerare. Era anche possibile,
però, che trovassero un pusher o qualche clandestino. In tal
caso dovevano portarlo via a sirene spiegate, i giornalisti erano già
stati avvertiti e avrebbero filmato la scena.

Il
Nucleo Speciale Polizia Locale del Consorzio del Membro esisteva da
pochi mesi, ma aveva già all’attivo numerose azioni di
questo tipo. Perquisizioni nei parchi, blocchi di cemento posizionati
per impedire bivacchi lungo il fiume, sequestri di merce a venditori
ambulanti, arresti di accattoni molesti. Erano un bel gruppo di
giovani affiatati, una novità per la zona, che non pensavano
proprio a dirigere il traffico. Avevano in dotazione una pistola, e
si allenavano al poligono di Trevizzo almeno due volte l’anno, ma
avevano chiesto e ottenuto dal sindaco anche manganello e spray al
pepe. Strumenti di autotutela. Del resto, il sindaco aveva subito
messo le mani avanti con la stampa, dedicando alla questione una
delle sue frasi storiche: “Qualcuno crede che basta fare
esercizi spirituali di fronte a uno straniero abusivo che ti minaccia
con una bottiglia rotta. Io non la penso nello stesso modo
".
Tutti avevano applaudito.

Erano
tutti ansiosi di iniziare il blitz al Cascinetto.

Stasera
gliela raccontiamo, a quei froci dei carramba
”, disse il vigile
Mirko Tagliaferri al responsabile di servizio. Gli bruciava ancora
che la settimana precedente i carabinieri di Trevizzo avessero
perquisito tutti i clienti dell’unico phone center del paese senza
chiedere la loro collaborazione.

Ora
si sarebbero rifatti.

Tre
auto partirono verso il Cascinetto. Si fermarono al limitare del
boschetto, dove scesero quattro vigili, in borghese. Non vogliamo
mica far volar via le quaglie prima del tempo
. Gli altri cinque,
in divisa, si appostarono poco distante. La superiorità
numerica era garantita.

Vai
che ce n’è solo uno
”, sussurrò Tagliaferri ai
colleghi.

Ma
che cazzo fa, dorme?
”, rispose il vigile Pelusi, l’ultimo
arrivato.

Sarà
un tossico strafatto. State attenti che potrebbe tirare fuori la
siringa, eh. Subito addosso!”,
ordinò il responsabile di
servizio.

Vitaly
si svegliò all’improvviso, mentre due uomini lo prendevano
per i polsi, e altri due cercavano di afferrargli le gambe. Si mise
ad urlare. Si liberò i polsi con uno strappo deciso, fece due
passi di corsa ma subito ricadde, con i quattro uomini ammucchiati
sopra di sé.

Cosa
volete?
”, riuscì ad articolare tra le grida. La voce gli
uscì strozzata, il suo lieve accento più forte del
solito.

Ma
è pure un albanese di merda!”,
dedusse il vigile
Tagliaferri.

Tira
fuori il permesso di soggiorno
”, gracchiò il
responsabile di servizio.

Vitaly
non rispose subito, paralizzato dalla paura.

I
quattro estrassero il manganello, mentre i cinque colleghi in divisa
osservavano la scena.

Il
primo colpo lo prese sulla spalla destra. Non provò dolore,
solo una sorta di terribile stupore. Il secondo lo colpì alla
bocca, il labbro inferiore si spaccò contro gli incisivi. Il
dolore arrivò, fulminante, insieme alla rabbia e alla
consapevolezza. Erano poliziotti. Lo stavano picchiando.

E
non ho fatto niente. Niente!

Allora
albania, ce l’hai il permesso si o no?Eh?Tiralo fuori!”

Non…non…”

Il
suo permesso di soggiorno era nella sella del motorino, ora
ricordava. Ma non riusciva a parlare, il sangue gli scendeva in gola,
insieme a qualcosa di viscido e duro.

Gli
infilarono le manette ai polsi.

Non
ce l’hai? Tossico e clandestino! Oggi ci va di culo, ragazzi!

Un
calcio al fianco sinistro, dove finiscono le costole. Cercò di
coprirsi, lasciando la testa esposta. Un pugno, di nuovo sui denti.
Era il vigile Pelusi, ancora poco avvezzo al manganello. Colpi alle
gambe. Non avrebbe saputo dire quanto era durato il tutto, ma
all’improvviso si fermarono.

Gli
buttarono una felpa sulla faccia. Lo infilarono di forza in macchina
e partirono, sentì che accendevano le sirene.

Ahia,
mi sono fatto male alla mano
”, si lamentò Tagliaferri.

Arrivarono
al comando della Polizia locale. Vitaly fu preso per le spalle e
trascinato dentro. Gli tolsero le manette dal polso sinistro, e
assicurarono l’altro capo ad una sbarra dell’unica cella della
caserma. Solo allora gli tolsero la felpa dalla testa.

Adesso
sta buonino e spogliati
”, ordino Pelusi.

Vitaly
sgranò gli occhi e non obbedì.

Adesso
mi dovete dire cosa cazzo vi ho fatto! Fatemi telefonare! Mia madre…

Smise
di parlare, perché un colpo alla bocca dello stomaco gli aveva
mozzato il fiato. Si piegò su se stesso quel tanto che gli era
consentito dalle manette. Poi, iniziò a spogliarsi,
lentamente, con la mano sinistra.

Anche
le mutande, forza
”.

Vitaly
rimase completamente nudo, in mezzo al corridoio. Vide che gli
frugavano nelle tasche e gli prendevano due biglietti dell’autobus,
un pacchetto di sigarette, un accendino, un fazzoletto usato, una
banconota da dieci euro spiegazzata.

Gli
veniva da piangere, ma strinse i denti.

Io
ce l’ho il permesso di soggiorno. Ce l’ho. È nella sella
del motorino. Controllate, chiamate la questura,mi chiamo Vitaly
Afanashenko
, io ce l’ho il permesso”.

Come
cazzo ti chiami
?” chiese Pelusi.

Sai
quanto me ne frega
”, disse Tagliaferri. “Sei nella merda
lo stesso. Mi hai fatto male alla mano. Albanese di merda. E adesso
firma qui, altrimenti ti conviene stringere le chiappe
”.

 

Ho
fatto resistenza all’arresto

Cusè?”

Hanno
detto così
.”

Il
ragazzo sembrava tranquillo, anche troppo.

E
poi lo hanno scritto. Sulla denuncia
”.

Carlo
non riusciva ad afferrare il senso delle brevi frasi che stava
ascoltando. Eppure si stava sforzando di concentrarsi, sapeva che
Natalya contava su di lui. Sentiva solo il suono delle parole, anzi,
un suono che stava tra le parole, sotto di esse, un suono piuttosto
buffo. Non si trattava del lieve accento straniero, che Carlo non
notava più da un bel pezzo.

I
denti. Gli hanno fatto saltare minimo due denti, dio boia, ecco
perché parla così.

Carlo?
Mi hai capito?”

Si,
si. Devo cercare…un avvocato?”

Non
lo so, credo che tra poco mi rilascino. Si, forse mi serve. Hanno
scritto anche un’altra cosa.”

Cosa
ancora?”

Che
ho picchiato due vigili. Che a uno ho rotto un dito della mano
destra, quello piccolino…”

Il
vigile piccolino?”

No
Carlo, il dito”.

Il
mignolo
”, precisò Carlo, non trovando niente di meglio
da dire e sentendosi subito un imbecille.

Ecco
si, quello lì”.

Ma
porco dighel, ma te dimmi come si fa a spaccare il mignolo a uno
menandolo…”

Lascia
stare. Ho firmato dei fogli. Forse non mi serve più
l’avvocato, hanno detto che con questi fogli mi possono far uscire
subito”.

Hai
firmato cosa?”.


alla mamma di stare tranquilla, tra poco mi fanno uscire. Adesso devo
andare”.

No
aspetta, aspetta, mi devi ancora dire che cosa hai combinato, a me lo
devi dire!”

Silenzio,
e poi il segnale di libero del telefono. Vitaly aveva riattaccato.

Ma
tu guarda che casino.

Carlo
non era ancora riuscito a capire che razza di reato avesse commesso
Vitaly, e pensava che qualcosina doveva pure averla fatta. Non era
possibile che uno se ne stesse per i fatti propri e all’improvviso
lo portassero via, lo facessero sparire per due giorni e poi lo
denunciassero. E gli spaccassero i denti…no, a questo non ci
pensare, non ne sei sicuro, devi vederlo con i tuoi occhi.

Quando
Carlo era ragazzo, fatti del genere capitavano, certo. A lui era
successo, perché il sabato preferiva andare a boccette sul
fiume o incontrarsi con qualche ragazza che fare il buffone in piazza
con i coscritti, fazzoletto nero al collo; così ogni tanto,
per gradire, gli facevano passare il fine settimana in cella a
Trevizzi. Lì contribuiva a distrarre i carcerieri dalla loro
noia perpetua di ragazzoni sani e pronti per la guerra, costretti ad
annoiarsi in un tempo che era ancora ufficialmente di pace.

Due
denti li aveva persi anche lui, quando era stato presentato al
camerata manganello.

Erano
altri tempi, ostia.
Certo, a pensarci bene gli pareva di
ricordare che uno di quei ragazzoni dal polso svelto fosse poi
diventato maresciallo in un’altra provincia, continuando a
coltivare la propria attitudine. Ora era in pensione da un pezzo,
però. Ora il manganello lo portavano alla cintura ragazzetti
che ai tempi di Carlo non esistevano nemmeno nell’immaginazione dei
propri genitori.

Ora
uno poteva andare dove gli pareva il sabato, a passeggiare per il
centro guardando le vetrine, al centro commerciale, all’oratorio…

Certo
che però. Due giorni senza farlo telefonare. La Natalya che
quasi mi muore di paura. Anche chi sta in galera può
telefonare. Ah, no. Il ragazzo non sta in galera, sta dai vigili. Dai
vigili!

Non
doveva perdersi in questi pensieri, Natalya aspettava notizie. La
chiamò immediatamente, e la donna corse da lui.

Le
spiegò che Vitaly era in caserma, dai vigili, che forse c’era
stato un equivoco, l’avevano preso per uno senza documenti, o uno
spacciatore, chi lo sa, ma avrebbero dovuto rilasciarlo presto.

Natalya
scoppiò a piangere per il puro sollievo di sapere dove si
trovava suo figlio.

Allora
è solo uno sbaglio! Presto torna a casa. E io chiamo il
sindaco, chiamo i giornali, faccio casino Carlo, io faccio grande
casino!

Carlo
cercava di consolarla tenendola per le spalle, impacciato.

Si,
lo fanno uscire, per forza…dicono che ha picchiato un vigile, che è
scappato, una roba così, ma è una cazzata, stai
tranquilla. Cose di ragazzi. Magari andava in motorino senza casco e
volevano fargli la multa e…”

Vitaly
non picchia nessuno. Non ha mai picchiato nessuno!”

Lo
so, lo so. Ma adesso torna a casa, è questa la cosa importante
no? Poi vediamo, se gli danno una multa, insomma, troviamo un
avvocato. Sei più tranquilla? Eh?”

Si”,
rispose Natalya asciugandosi le lacrime.

Il
sindaco rilasciò un comunicato stampa per congratularsi con
gli agenti del Consorzio del Membro.

Continua
ad allungarsi la lista delle violenze commesse da stranieri e
clandestini a danno dei bergamaschi. Ogni giorno è un
bollettino di guerra, che parla di accoltellamenti, violenze, furti,
aggressioni e stupri. E che oggi vede un agente della Polizia locale
ferito in azione da un cittadino ucraino che occupava abusivamente un
immobile abbandonato.

Due
mesi fa un bar è stato svaligiato da una banda di rom, il mese
scorso è stato arrestato dai carabinieri uno spacciatore
marocchino, solo una settimana fa abbiamo avuto notizia di una
soffitta qui in paese dove dormivano cinque clandestini. Così
non si può andare avanti.

Ma
non ci sono solo questi fatti abominevoli. Dopo le cinque di sera i
nostri bambini non possono più frequentare i parchi, perché
sono pieni di ragazzi che fumano la droga. La stazione è
inguardabile, insudiciata dai vandali. Gli stranieri che hanno preso
possesso dei cascinali dei nostri nonni li lasciano marcire nel
degrado.

Tra
zero e un delitto c’è un’infinità di sfumature che
inquietano i cittadini. Noi interveniamo sul disagio, sul senso di
insicurezza*. L’arresto di sabato ne è l’ennesima
conferma, ci stiamo muovendo nella direzione giusta: quella della
legalità e della sicurezza, al servizio delle quali il nuovo
Nucleo Speciale Polizia Locale del Consorzio del Membro agirà
con sempre maggiore decisione
”.

Carlo
era al bar con il solito bianchino sul tavolo. Posò il
giornale, perché non riusciva più a leggere. Vedeva
nero, un cielo notturno di rabbia e amarezza. In pochi secondi pensò
al suo cascinale, raso al suolo perché di lì
doveva passare un’autostrada mai realizzata. Gli avevano dato un
indennizzo appena sufficiente a comprare due stanze nel palazzo
marroncino. Pensò ai ragazzi che non stavano più in
piazza perché la gente dalle case si lamentava e chiamava i
vigili, e ora erano sempre in quel dannato centro commerciale, mentre
la piazza rimaneva deserta, silenziosa e inquietante, così che
ogni guizzo di luce pareva un movimento sospetto e furtivo. Pensò
alle manganellate della sua gioventù lontana, che aveva quasi
dimenticato. Pensò a Vitaly, a Natalya, alla nuova vita che
gli avevano regalato senza volere nulla in cambio.

Smise
anche di pensare, perché il cuore batteva forte e saltava in
petto, fino a salirgli al collo con un battito d’ali impazzite.

Respirò
forte, attese che il turbine si calmasse e ricominciò a
leggere.

Sono
inoltre orgoglioso di annunciare ai cittadini che stavolta il
criminale straniero non verrà rimesso in libertà senza
subire alcuna conseguenza, come eravamo soliti lamentare in passato.
L’immigrato non sarà libero di scorrazzare nel nostro paese.

Grazie
alle nuove norme recentemente approvate del governo, che noi sindaci
richiedevamo da tempo, ora è possibile espellere anche gli
stranieri in possesso di un permesso di soggiorno per ragioni di
ordine pubblico. Dopo l’inaudita violenza usata contro le nostre
forze dell’ordine, ci siamo avvalsi di queste nuove norme per
ottenere immediatamente un ordine di espulsione. E state pur
tranquilli, non lo perderemo d’occhio: se tra due mesi sarà
ancora in Italia, finirà dietro le sbarre. E’ ora che
iniziamo a ripristinare la legalità sul nostro territorio e
che pretendiamo dagli ospiti il rispetto delle regole**
”.

Carlo
si alzò, stingendo ancora in pugno il giornale, e uscì
dal bar senza salutare nessuno. Camminò fino ad arrivare alla
casa di Natalya, con il respiro affannoso e le gambe doloranti.

Trovò
la donna abbracciata a suo figlio, con un’espressione rassegnata in
volto.

Ciao
Carlo
”, disse il ragazzo.

Vitaly.
Allora…allora è vero che ti hanno spaccato i denti
.”

Natalya
si nascose il volto tra le mani.

E’
vero sì.
E i fogli che mi hanno fatto firmare quei
bastardi…bè, questo è il risultato
”.

Mostro
a Carlo un foglio con dei timbri della questura. Decreto di
espulsione. Comportamenti che costituiscono minaccia concreta,
effettiva e grave alla dignità umana, ai diritti fondamentali
della persona, all’incolumità pubblica…

No.
Questa roba qui…mi ci pulisco il culo, ecco. Ti cerco un avvocato.
Vado su a Trevizzo da un mio amico che forse ne conosce uno, guarda,
c’hai i denti rotti, non ci crede nessuno che hai firmato così,
perché volevi! Adesso…

Lascia
stare, Carlo. Io vado via. Non li aspetto, i due mesi. Non ci sto
nemmeno un giorno in più del necessario, qui. Ho prenotato il
posto sul pullmino del Maksym, tra due giorni. Ti volevo salutare”.

Carlo
si lasciò abbracciare in silenzio. Poi guardò Natalya.
E si arrabbiò.

Porco
cane e tu lo lasci andare via così? Eh? Prova almeno a
convincerlo, non è giuro, non è mica giusto, dio boia
!”

Hai
ragione, non è giusto. E non lo lascio andare, me ne vado
anch’io. Non subito, devo sistemare tutto, qui. Ma prima di due
mesi me ne vado. Non ha più senso stare qui. Scusami, Carlo.
Scusami tanto
”.

E
lo baciò in fronte.

Carlo
tornò a casa e chiuse la porta a chiave. A doppia mandata.

Rimase
seduto a covare la sua rabbia e il suo dolore per quasi due
settimane. Vitaly provò a farlo uscire per poterlo salutare
ancora una volta, ma lui strinse i denti, e rifiutò di
mostrarsi.

Partito
il ragazzo, decise di agire. Non aveva più nulla da perdere.

Carlo
finì il bicchiere di vino e prese di nuovo in mano il fucile.

Vai
via te. Si sa mai che ti mettono dentro. Vai perché io non
scendo, in manicomio non finisco, e neanche in una casa di riposo, e
tu devi tornare dal ragazzo”.

Per
favore, scendi. Cosa cambia? Cosa cambia se stai chiuso qui? Vuoi
sparare a tutti? Ai vigili, al sindaco, ai giornalisti che scrivono
quello che dice il sindaco, alla gente che legge i giornali e poi è
contenta di quello che ha letto…”

Da
qualcuno dovrò cominciare”,
rispose Carlo.

Natalya
socchiuse la finestra e guardò giù. Erano arrivati
degli stani personaggi, con l’aria da poliziotti ma dotati di
maglioncini a righe e giacconi dai colori improbabili. C’era anche
un’ambulanza. Il sindaco sembrava più rilassato, gesticolava
di fronte ad una telecamera e non si curava di mettersi al coperto.

Richiuse
in fretta le persiane.

Carlo”,
chiamò sottovoce.

Seh”.

Sono
arrivati degli altri poliziotti. Però non hanno la divisa. E
c’è una macchina verde che non sembra della polizia, però
ha una luce blu sul tetto
”.

Digli
di andare a dar via il culo. A loro a ai loro colleghi. E dammi un
bacio che ti saluto
”.

Natalya
sentì che era la fine, o forse un nuovo inizio. Baciò
Carlo sulle labbra, un bacio lieve e composto, gli scompigliò
i capelli.

Vienici
a trovare, dopo. Ti aspettiamo sempre
”.

Va
bene. Se un giorno esco, vi vengo a cercare. Adesso scendi, digli che
mi sono dato una calmata, che ti ho cacciata via ma ho messo giù
il fucile. Digli che sono stanco e ho paura
”.

E
non è vero?

No.
Vai adesso. L’è ura”.

Natalya
scese le scale lentamente, incontro a tutta quella gente che non
avrebbe voluto mai più vedere.

Nel
frattempo il sindaco stava tenendo un comizio per i giornalisti della
Voce del Membro e del Cavatore di Trevizzo:

Questa
azione inconsulta di un onesto cittadino ha dell’inspiegabile. Solo
se si considera il degrado a cui è stata sottoposta negli
ultimi anni la nostra cittadina si può comprendere come un
tranquillo pensionato possa arrivare a questi eccessi…la gente ha
paura, la gente si sta armando, come potete vedere…”.

Carlo
si avvicinò alla finestra, socchiuse le persiane. Guardò
giù: il sindaco era ancora allo scoperto. Se ne fregavano di
lui, non avevano paura di un povero vecchio. I carabinieri, i
poliziotti li avevano chiamati solo per fare scena.

Con
calma puntò il fucile, prese la mira. Trattenne il fiato.

Signor
sindaco, si sposti un attimino, così ha l’ombra sulla
faccia!
” disse il giornalista.

Sicuro,
adesso mi sposto. Ecco, qui c’è più luce, Dicevamo
?”

Dicevamo
che la gente ha paura
”.

Si,
ecco la gente ha paura. Ma noi siamo pronti a rassicurare i nostri
anziani, forniremo un’adeguata assistenza psichiatrica…”

Si
udì uno scoppio, e il sindaco tacque di colpo. Nessuno sentì
il rumore che fece cadendo sul marciapiede, perché nell’aria
risuonava ancora la risata di Carlo.

*dichiarazione
originale a cura del sindaco di Parma, Dott. Pietro Vignali,
rilasciata in un’intervista a Repubblica come commento al pestaggio
di Emmanuel Bonsu da parte di una squadra di vigili.

**
le altre frasi del sindaco di Cordoglio al Membro devono molto al
contributo del vicesindaco di Milano, Riccardo Decorato.

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