La svastica delle alpi

 


Un’analisi reperibile qui: socialdesignzine

Semiologia politica in Padania

Alessandro Savorelli*

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana, alcuni professori
comunisti, sedotti dal lato oscuro della forza, inventarono uno dei
loro soliti inganni dialettici, stalinian-hegeliani: la semiotica. Che
cosa dicevano? Invitavano a studiare i “segni” come se fossero non
superfetazioni arbitrarie del reale, ma “cose” esse, o segmenti di
cose, non separabili dalle cose: non “scorze”, o scorze senza le quali
la “polpa” va a male e si disfa. Su questo presupposto insegnarono a
pensare che la pratica della decrittazione dei segni desse delle
informazioni sulle cose stesse e consentisse di giudicarle: fosse il
quadro di un ‘pompiere’ di fronte a un classico, il menu della pizzeria
a taglio “Bella Napoli” e quello di Maxim, un movimento politico
dall’ideologia sgangherata o una formazione dal programma complesso.

(…)

Infine la Lega, l’unico segno rimasto dagli anni Ottanta, perché. come
è stato osservato acutamente in un commento, è ormai “il partito più
vecchio della repubblica” (di una repubblica che esso, paradossalmente
vuol disfare). Ho chiamato (sforzandomi di ridere) quel segno «svastica
delle Alpi», non senza motivo: come la svastica è un emblema solare; e
ho poi dato la stura a un’invettiva che, tuttavia, non è così
partigiana come si crede. Se si tolgono gli aggettivi-contumelia
(canaglia, carogna, rozza etc.), mie definizioni personali (che ho
espresso più volte), gli altri non sono offensivi. Fotografano bensì le
idee portanti del movimento leghista: xenofobia, localismo, difesa di
interessi costituiti, disprezzo dello stato, indifferenza ai problemi
dei “diritti”, tradizionalismo. Idee del genere sono “di per sé”
reazionarie, anche se la storia le ha rimescolate in tanti modi. Né la
Lega si dovrebbe offendere di una definizione che è puramente neutra
(come “liberale”, “conservatore”, “progressista” etc.). Se “comunista”
nel linguaggio berlusconiano-leghista sta diventando una parolaccia,
come già lo era “fascismo” per i democratici, “reazionario” può ben
essere una definizione e non una contumelia.

Ma la cosa non
è stata bevuta: mi sono saltati addosso in molti, reclamando la
“modernità” della Lega, la sua “vicinanza al popolo e ai suoi bisogni”
(non compresi dalla sinistra classica), il fatto che l’hanno votata gli
operai, la sua presunta probità amministrativa. Ora che la sinistra non
abbia capito certe cose, sono il primo a sostenerlo, ma l’argomento «la
votano gli operai, ergo» mi lascia perplesso: i contadini affamati del cardinal Ruffo che impiccavano i giacobini non rendevano ipso facto
«moderno» il cardinal Ruffo: che reazionario era e rimaneva.
Testimoniavano semmai della subalternità popolare a parole d’ordine
reazionarie.

Ordunque, vediamoli i “segni” della Lega,
come facevano i semiologi della galassia lontana lontana, vediamola la
sua strategia comunicativa. Vediamo se ci dicono qualcosa di lei. Se la
definizione “reazionaria” è gratuita.

Cominciamo dal sole delle Alpi.
Segno solare e ancestrale: nessun partito moderno si è rifugiato in una
terra di mezzo così lontana per dire ciò che è. E sorvolo sul fatto che
la scelta è a sproposito: quel simbolo si trova in tutto il mondo
antico e medievale, e in tutto il mediterraneo. Io ne ho fotografati
decine nel sud e in altre zone non sospette di essere “celtiche”; si
trova persino in Tunisia. Ma a parte la bufala storica e antropologica,
il segno non è che un segno di forte evocazione ancestrale, una runa,
proprio come la svastica, la croce celticaimprinting da destra reazionaria innegabile.  Un partito moderno non sceglie simboli ancestrali, veri o finti.

Se poi si va sul sito dei Giovani Padani,
i simboli (anche questi quasi tutto falsi, cioè reinterpretati a
partire dal mito) sono resi in una ridicola araldica da palio di paese,
addobbata di draghi, leoni, spadoni, grifoni: paccottiglia recuperata
sui siti di araldica, i più esoterici, e rivenduta per storica. Nessun
partito moderno si addobba da dungeons and dragons. La scelta
di connotarsi come “nazioni” coi propri simboli d’antan, è tipica di
un’ideologia nazionalista, patriottarda e revanscista. L’Italia
umbertina e il fascismo amavano le parate delle “province fedeli” coi
loro blasoni, del genere «Frosinone! presente!». Mio padre rammentava
il cartello da

parata del fascio di Forlì: «noi, Forlì, il mondo».

Militarismo,
non importa se solo verbale. Dagli scudo dragonati alla macchina
teatrale-guerriera: i giovani padani hanno sempre la spada in mano,
l’elmo in testa, come il prode Anselmo, e combattono sempre contro
qualcuno all’arma bianca. come i gruppi ultras delle curve e i
movimenti di destra. Camicia nera, camicia verde. i padani, come i
fascisti amano agghindarsi in divisa.

Nazionalismo. Posticci i simboli, da film storico (i padani sbavano per quella schifezza di Braveheart),
posticcia la patria padana: e tuttavia il connotato nazionalistico è
fortissimo: una patria sempre armata e in guerra contro nemici e
oppressori. Nazionalismo etnico di estrema destra: aggressivo,
esclusivo. Magliette e poster esibiscono tipiche idee da nazionalismo
di destra: onore, coraggio, orgoglio, tradizione. Di nuovo, come le
curve di destra.
Tutte queste cose si vedono anche molto bene nel
prezioso catalogo dei poster della Lega (dal 2000 a oggi) sul suo sito.
Sulla grafica lascio il commento ai tecnici: a me pare piuttosto
dozzinale, per non dire pacchiana, urlata, da manifesto di sagra
paesana o discount da tre soldi. La strategia comunicativa comunque, verbale e iconografica non lascia dubbi sulla collocazione politica.
Nazionalismo, mitologia nazionale, spiegata ai bambini, come nelle
dittature, in appositi opuscoletti. Lo slogan è elementare e protervo
«padroni a casa nostra».

Ibridazione dei messaggi:
come il fascismo, la Lega adotta “pezzi” del linguaggio politico
altrui, e li usa con disinvoltura: «il vento del Nord», la «lotta di
liberazione».

Conservatorismo e totale chiusura di fronte ai problemi nuovi: espellere i clandestini, negare rappresentanza, opposizione alle leggi («basta tribunali dei minori»).

Moralismo fondamentalista
(ipocrita: chi va con la squillo? chi si droga? sono marziani,
terrorni, extracomunitari?), stile sindaco-sceriffo di Hollywood
(«ripulirò questa città»):  «prostituzione e pornografia ALT!». «Ferma
l’AIDS»: come? non si sa, votando Padao. Perché come diceva la
macchietta di un film americano: «l’AIDS non è la malattia, è la cura»…

Elogio del premoderno.
Semplificazione dei problemi economici e protezionismo crudo,
premoderno («servono i confini per difendere le imprese»). Premoderna
negazione di diritti validi per tutti e privilegio etnico: «Case
popolari: prima i padani!», «Magistrati padani in padania».

Violenza verbale,
autoidentificazione attraverso un nemico satanizzato, alla Karl
Schmitt. Esasperazione aggressiva del linguaggio: la Padania è sotto
apartheid, il nemico è un’«orda», l’Europa impicca la Padania, in
Italia ci sono i «soviet», il governo deve essere tritato nella
spazzatura, Roma è uno stato «coloniale», i «turchi e i cinesi» (il
pericolo giallo!) ci assediano, la sinistra è fatta di «nazisti rossi».
Il ministro delle finanze è un «ratto che ti rapina».

Tradizionalismo: «sì alle radici cristiane». Naturalmente un po’ cristiane un po’ celtiche.

Antipolitica, prepolitica.
La politica è una questione di «soldi!ì». Egoismo e rivolta fiscale: le
paure e le ossessioni del borghesuccio diventano un programma politico
rudimentale. Qualche intellettuale della Lega scrive talora «autonomia
finanziaria», ma al popolo ci si rivolge più direttamente, in mutande:
«basta tasse», anzi, meglio «basta soldi», o  «i soldi delle tasse»;
Roma è una matrona che frega le uova d’oro alla Padania, un vampiro
romano «frega i risparmi» ai padani; gli «statali» (per definizione
tutti poltroni, fatta eccezione forse per statali padani?) vanno
buttati fuori. L’armamentario della commedia all’italiana, dei
«tartassati», al posto della politica; l’antipolitica e prepolitica dei
discorsi da bar come strategia comunicativa. Il conservatorismo contro
lo stato e contro le tasse connota i partiti di estrema destra
populista da sempre. Lo stila è identico a quello dell’Uomo qualunque.
Stessa vittimismo complottardo, stesso appello alla furbizia italiana:
non farti fregare dallo stato. Soluzione classica: più padania, più
libertà. Ci siamo noi a difenderti. Si esce dalla crisi a destra, come
nella Germania del ’32 e per mezzo di amici fidati, gente come te, un
capo che viene dal popolo, in canottiera.

Ecco la strategia
comunicativa del partito «radicato nel popolo» e «amato dal popolo»,
che ora tutti vezzeggiano. È una strategia di estrema destra,
reazionaria: di solito le idee e la pratica sociale e politica di chi
usa una strategia del genere sono reazionarie. Magari la Lega sarà
un’eccezione: anche gli squadristi, col loro ridicolo fez, il
manganello e l’eia eia alalà sedussero qualche tranquillo liberale
timoroso delle intemperanze della sinistra e preoccupalo del suo
portafoglio, qualche «laureato, educato, dalle visioni ampie,
razionale, acculturato, intelligente, voglioso di tensione e
cambiamento, interessato, dinamico, propositivo».  Le colpe della
sinistra sono nel non volere e poter dare risposte ai problemi che la
Lega agita come clave: ma questo non toglie che le idee che la Lega
agita, scrivendo e dicendo quel che dice e come lo dice, siano
arretrate e pericolose per la democrazia. Inseguirla sul suo terreno, a
partire dalle prossime venture riforme istituzionali, sarebbe
l’anticamera di ulteriori disastri per l’opposizione. 

 

*Ricercatore e storico della filosofia moderna presso la Scuola Normale
di Pisa, si occupa di storia della simbologia e dell’araldica delle
istituzioni pubbliche, in particolare dell’araldica comunale.

This entry was posted in Riflessioni. Bookmark the permalink.