Zingonia, parte 2. Una storia infinita.

 

Cos’è diventata
Zingonia dopo la fuga del suo creatore e la secca del fiume di
finanziamenti che l’aveva alimentata fino alla metà degli anni’70?

Se chiedete in
giro o leggete le cronache locali, la triade che vi verrà proposta è
questa: immigrazione-spaccio-droga. Spesso quando la "ggente" si
lamenta perchè "ci sono troppi marocchini in giro", aggiunge subito
che, andando avanti così, "si rischia di finire come a Zingonia".

All’inizio
degli anni ’70 le scuole elementari di Ciserano avrebbero dovuto essere
trasferite a Zingonia. I genitori non ne vollero sapere, ci fu una
vera e propria rivolta generalizzata. Il progetto fu abbandonato, e
Zingonia continuò ad essere una metropoli abortita senza una propria
identità. Oggi i bambini che provengono da questo territorio sono
divisi fra le scuole primarie dei 5 comuni limitrofi.

La verità è che
oggi Zingonia è una periferia senza centro che non compare nemmeno
sulla carta geografica nonostante i suoi qausi 30.000 abitanti, un
ghetto dove finiscono i più vulnerabili, i nuovi arrivati, in attesa di
potersi permettere qualcosa di meglio. Tra gli abitanti prevalgono la
nazionalità di immigrazione più redenta, e i giovani uomini che non
hanno ancora chiesto od ottenuto il ricongiungimento famigliare.

Negli
anni ’60 sono stati costruiti decine di palazzoni destinati ad
assorbire l’ondata di migrazione interna, quella dei "terùn". Appena i
meridionali sono riusciti ad ottenere qualche soldo, un minimo di
stabilità esistenziale, se ne sono andati da Zingonia lasciando gli
stessi palazzi, solo più vecchi e malandati, a disposizione dei primi
migranti stranieri in arrivo negli anni ’80. La comunità senegalese è
la più folta e radicata, progressivamente la seguono albanesi,
marocchini, pakistani. Capannoni e fabbrichette non mancano, gira voce che "il lavoro si trova".

I migranti vivono
in un duplice ghetto, a Zingonia: quello creato dalla gente dei comuni
limitrofi, che percepisce questo agglomerato di case e fabbriche come
un corpo estraneo cresciuto come un tumore fra i loro paesi, e che non ricorda di avere un tempo sognato una città che li riscattasse dal destino di emigranti, pendolari, uomini di fatica; quello
creato dalla malavita organizzata, che gestisce tranquillamente spaccio
e prostituzione attirando clienti da tutta la Lombardia.
I
clandestini sono prigionieri per un altro motivo ancora: la polizia
stazione quasi perennemente nella "piazza del missile", davanti al
locale che serve kebab, tra i palazzi scrostati. Molti
escono di casa solo per andare al lavoro, in nero, in uno dei tanti
capannoni della zona. Molti si lamentano perchè gli spacciatori
stazionano stabilmente solo 500 metri più in là, a Piazza Affari, e la
polizia preferisce parcheggiarsi di fronte a casa loro. Le retate in grande stile non mancano, con tanto di unità cinofile, elicotteri, vigili del fuoco ad illuminare a giorno i palazzi; chissà perchè però finiscono sempre per concentrarsi su famiglie di clandestini, giovanissime prostitute, o, al massimo, qualche spacciatore di calibro insignificante.

Piazza Affari (foto a destra) è un esempio
della triste grandeur che traspare dal passato immaginario di
Zingonia: concepita per essere epicentro del commercio lombardo, sede
di reppresentanze multinazionali, oggi ospita affari comunque redditizi e di rilievo internazionale. Ruotano soprattutto attorno alla cocaina.

Altre vestigia del passato sono l’enorme Grand Hotel, rimasto per anni a marcire (di recente qualcuno parrebe intenzionato ad iniziare un restauro), la fontana a forma di obelisco spaziale, il campo da calcio in cui si allena l’Atalanta.

Zingonia è un intreccio di cicatrici che stanno a ricordare fenomeni rappresentativi dell’Italia intera; speculazione, sviluppo industriale, mancanza di pianificazione, immigrazione interna ed esterna; ma è anche un laboratorio di relazioni in continua trasformazione. Sul territorio esistono una scuola di italiano per migranti, un centro culturale attivo anche nell’istruzione degli adulti, quattro studi di artisti la cui opera è strettamente legata al territorio, una moschea di senegalesi mourides, varie associazioni di migranti, una squadra di cricket composta da pakistani che dà del filo a torcere anche ai terribili rivali bresciani.

Si allenano in un parcheggio, davanti al campo da calcio dell’Atalanta. Sperano di poter giocare presto in un campionato ufficiale, e che si possa trovare un campo anche per loro.

 

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