di Andrea Oleandri –ZINGONIA(BERGAMO)
BERGAMO
Vivere senza acqua a Zingonia
Gli effetti della privatizzazione su decine di famiglie costrette a vivere senza bere né lavarsi
Un arretrato di 400 mila euro lascia a secco un intero quartiere. Fino al raggiungimento di un accordo
Cosa significa vivere senz’acqua? Questo era l’interrogativo più grande che ci siamo posti muovendo verso Zingonia.
Per la prima volta in Italia decine e decine di famiglie sono state
private del bene più importante: l’acqua. Proprio pochi giorni dopo la
conversione in legge del decreto 135/09 che, con il suo articolo 15,
sferrava un ulteriore attacco alla natura di bene pubblico dell’acqua.
La
risposta è venuta da sé, nel momento stesso in cui gli abitanti di
questo quartiere ci hanno accolto nelle loro case, raccontandoci di
quei giorni appena lasciati alle spalle e di cui, tuttavia, permane lo
spettro. Spiegare cosa significhi vivere senz’acqua, è raccontare la
loro storia.
L’acqua ora c’è e risulta difficile, forse anche a noi
che stiamo seduti davanti a loro, capire nel profondo cosa possa
significare doverne fare a meno. Eppure puoi provare a comprenderlo
quando una volta arrivato davanti alle loro porte – trafelato per i
sei-sette piani saliti a piedi (gli ascensori sono ormai rotti da
anni), infreddolito per la temperatura mai superiore allo zero – te li
trovi davanti e speri che una volta dentro casa troverai un po’ di
sollievo. E invece fa freddo. I riscaldamenti sono almeno cinque anni
che sono stati tagliati ai palazzi di Zingonia.
L’unica cosa che allevia il gelo che continua ad avvolgerci sono i the
che ci vengono offerti. Marocchini, tunisini (c’è il mondo a Zingonia).
Ognuno fiero di farti assaggiare un pezzo della sua terra. E lì che ti
chiedi come possano aver fatto – quelli più poveri degli altri, quelli
che hanno dovuto aspettare di più per racimolare i soldi che gli
venivano chiesti come acconto, per ben quindici giorni – a stare senza
acqua. A dover fare decine di scalini (36 tra un piano e l’altro)
carichi di secchi e bottiglie, riempite ad una delle due fontanelle di
emergenza che, gentilmente, la società di gestione ha messo a loro
disposizione. A dover uscire al freddo a prendere l’acqua per cucinare,
lavarsi e anche solo per preparare quel the che per tanti – e anche per
noi in questi giorni – rappresenta uno dei pochi sollievi. A patto di
non voler tenere accesa la stufa a gas per tutto il giorno, per coloro
che se la sono potuti permettere ovviamente.
La storia di questi giorni a Zingonia,
nelle torri Athena 1,2,3 e le loro speculari Anna 1,2,3 è la storia,
per esempio, di Piera – una delle pochissime italiane che vivono in
questi palazzi. Piera è sposata con Atef (tunisino) da sei anni e
assieme hanno tre bellissimi figli, la più grande di appena 5 anni.
Loro sono stati molti più fortunati degli altri. Piera ha la madre che
vive in un comune non troppo lontano, per cui potevano andare da lei a
lavarsi e a far lavare i loro vestiti. Fortunati loro, a cui l’acqua
serviva solo per il bagno, per cucinare e, ovviamente, per preparare il
the. Meno secchi quindi, e poi la fortuna di poter, unico dei sei
palazzi, usufruire ancora dell’ascensore.
Fortune che non hanno
avuto Fatima, Leila, Hassan e Yasmine. Fatima è una donna marocchina
che dal 1990 vive in Italia. Da 10 anni si è trasferita a Zingonia
in Athena 3 e da circa tre anni ha comprato la casa – sempre nello
stesso condominio – dove ora vive con i suoi tre figli, per l’appunto
Leila di 15 anni, Hassan di 7 e Yasmine di 6. Loro vivono al settimo
piano e ce l’hanno fatta a superare questi giorni solo grazie all’aiuto
di alcuni vicini che, oltre a portare su per le scale i loro secchi
d’acqua, facevano qualche viaggio anche per loro quattro. A raccontarci
qualcosa – mentre Fatima si prepara per andare a lavorare – è proprio
Leila. Nata a Genova parla con un inconfondibile accento bergamasco. Ci
dice di aver avuto tanta solidarietà dai suoi compagni di classe, ma
che non ha accettato di andare da loro per non lasciare la sua
famiglia. Così, per tutti i giorni passati senz’acqua, si sono aiutati
a vicenda per lavarsi. Hanno usato bottiglie e bicchieri. Fatima
aiutava i più piccoli e loro aiutavano Leila.
E ancora la storia di
Talla, 18 anni, senegalese, e del suo migliore amico Bambara, nato in
Burkina Faso 19 anni fa. Di due ragazzi africani che hanno provato, in
Italia, sulla loro pelle, cosa significhi vivere senz’acqua e che fuori
da ogni ideologia e appartenenza sono pronti ad affermare che l’acqua
non si può staccare per nessun motivo, perché è vita e non si può
vivere senza acqua. Ragazzi che arrivano a chiedersi e, probabilmente a
chiederci, perché noi italiani (assieme a tanti altri) ci spingiamo in
Africa ad aiutarli a cercare l’acqua e, quando sono qui, gliela
neghiamo.
Ma è anche la storia di El Mati e della sua famiglia. Lui
ha 49 anni, un corpo minuto e dei baffi nerissimi. Ci accoglie e ci
offre il suo the. El Mati ha lavorato per anni come manovale e ora come
tanti è disoccupato. La crisi morde anche loro. Per guadagnare qualcosa
vende il pane che la moglie prepara in casa. Per lui non avere l’acqua,
ha significato anche perdere ciò che gli consente di tirare su qualche
soldo. Le sue due figlie sono ancora piccole e il figlio più grande,
Mohamed di 22 anni, è agli arresti domiciliari. Nei giorni senz’acqua è
perciò toccato solo a lui fare su e giù per i sei piani di scale a
riempire secchi.
C’è sollievo nelle persone che abbiamo
conosciuto, ma anche tanta preoccupazione. Sindaco di Ciserano (il
Comune sul cui territorio ricadono i palazzi di Zingonia)
e Bassii-Spa, sembrano infatti intenzionati a recuperare ogni centesimo
di quei quasi 400mila euro di arretrati (e poco importa se le
responsabilità di quel debito vadano cercate anche tra i precedenti
inquilini, molti dei quali italiani). I patti sono chiari. Le case
ufficialmente sfitte sono state murate nei giorni scorsi, e tutti gli
inquilini «regolari» dovranno versare 100 euro al mese per rientrare
dei debiti degli stabili. Se anche una sola di queste 115 famiglie
dovesse saltare il pagamento, per l’intero palazzo nel quale vive già
dal prossimo 30 gennaio l’acqua potrebbe essere nuovamente tagliata.
Con buona pace di chi considera l’acqua un bene da garantire ad ogni
individuo, perché necessaria alla vita stessa.
E allora toccherà a
tutti fare i salti mortali e, possibilmente, anche di più per
racimolare questi soldi. Ad El Mati che oltre ai 400 euro di affitto
(pagati ad un italiano) e a tutte le altre spese dovrà aggiungere
questa nuova tassa. A Fatima che dovrà riuscire a tirarli fuori dai 5
euro l’ora (in nero) che guadagna per fare le pulizie. E a tutte le
altre cento e passa famiglie su cui pende la spada di Damocle di una
Società per azioni controllata dal gruppo A2A, azienda con un utile
netto di 316 milioni di euro.